19
April
2022
Tempo di lettura:
5 minuti
Diego Valazza
Con questa colazione incoraggiamo paneburro a uscire dal rischio dell’autoreferenzialità. Se vogliamo offrire il tempo di pensare al mondo del progetto retail, non possiamo prescindere dall’ascolto di opinioni, visioni ed esperienze di professionisti al di fuori di noi, voci qualificate e con percorsi ricchi di stimoli inediti.
Partiamo con Diego Valazza, oggi Business Development Director di Lendlease dopo le esperienze maturate in società di primissimo livello come Cogest e Westfield. Una visione, quella di Diego, che si espande nell’ambito del complesso urbano, dove il retail è una componente vitale, e che ci fa sentire ancora più urgente il bisogno di “aprire la scatola”: un impulso decisivo per rispondere ai cambiamenti che stanno impattando sul nostro settore.
Per conoscere il suo pensiero, niente di meglio che ascoltare (cioè leggere) la sua voce!
E allora, buona lettura.
Adolfo
❯ I passaggi professionali di Diego Valazza – che lo portano oggi a MIND e Milano Santa Giulia, un salto di scala nella dimensione urbana dove il retail si confronta con il cosiddetto “common ground” – coincidono in buona parte con le fasi evolutive del retail stesso. Come interpretare queste fasi, come si riflettono sulla filiera e con quale valore aggiunto?
In realtà fin dall’inizio ho vissuto la coda della Golden Age del settore. La buona notizia è che il retail è una costante della storia, ma oggi dobbiamo capire dove e quanto collocarlo. All’inizio il modello era “fuori città, grande dimensione”, oggi uno scenario tra i più fecondi è restituirlo al contesto cittadino e farne un attivatore sociale: una sorta di ritorno alle origini (ma in forma contemporanea, omnichannel ecc.). Un modello più articolato rispetto al quale farei fatica ad applicare alcuni metodi del centro commerciale classico…
❯ Tuttavia i centri commerciali “classici” esistono. Quale futuro per queste strutture anche in funzione della loro collocazione geografica?
Dipende dalla densità di funzioni offerta dal territorio. Se in situazioni meno dense e infrastrutturate un centro commerciale ha ancora una valenza forte, in un contesto come Milano può non funzionare più. Con qualche distinguo: una sufficiente massa critica e un giusto mix di offerta aiutano. Penso ad alcune realtà che, anche nella cintura di Milano, sono in grado di andare a colmare un gap di aggregazione sociale.
❯ Stai dicendo che un centro commerciale, anche regionale, funziona se riempie un’assenza di offerta dei luoghi. Come può colmare questo gap? Prima la lettura era: “non più retail ma tempo libero”, oggi si parla di funzioni dell’abitare, servizi alla persona, spazi di lavoro, anche residenza…
Bisogna partire dal fatto che il retail non è una funzione a sé stante ma un ingranaggio di un meccanismo più ampio. Se stiamo parlando della “scatola”, la scatola deve aprirsi. Poi dobbiamo anche chiederci se strutture lontane e indipendenti dal tessuto urbano, con il loro impatto sul territorio, possiamo ancora permettercele. Serve una visione complessiva di sostenibilità ambientale, con obiettivi orientati a lungo termine. Certo per fare questo, dal lato developer, conta molto la dimensione, uno sviluppatore locale può non avere la necessaria “potenza di fuoco”…
❯ Quindi il developer locale cosa può fare? Cosa può permettersi? Oggi il cosiddetto ESG ha codificato alcuni valori, può essere un riferimento concreto per mercati più piccoli?
Credo che a tutte le scale bisogna invertire il processo: partire dall’ascolto del territorio e non dal contenitore. Quindi creare rapporti locali e di lì generare place making. I centri commerciali sono anche stati, storicamente, grandi acceleratori di commercio locale e non solo i distruttori di centri storici come si vuol far credere. Dovrebbero recuperare quella mission e differenziarsi: creare opportunità per retailer locali e non appiattirsi su un’omologazione dell’offerta, che è un problema internazionale e non solo italiano.
❯ Storicamente il Centro Commerciale ha anche vinto per un fattore di convenienza. Ora la personalizzazione sta premiando di più…
Commercio non è solo vendere prodotti, è servizi e relazione. Tornando ai centri storici: i retailer conoscevano i clienti, li chiamavano per nome.
Era un vantaggio competitivo che hanno perso per inseguire la GDO, la quale oggi sta recuperando quel rapporto. Allo stesso tempo i retailer e le associazioni di commercianti devono recuperare dalla GDO la capacità di fare sistema, la cui mancanza è causa della loro crisi. Allora può crearsi un’osmosi tra le diverse logiche: identità locale ed economie di scala, massa critica e diffusione sul territorio. ll retail può e deve essere molto differenziato, c’è spazio per infinite formule possibili. Partendo sempre da alcuni elementi fondamentali: attivazione sociale, servizio, prodotto, visione e passione. E soprattutto, relazione!
Diego Valazza
Business Development Director di Lendlease. Coordina le attività di leasing su tutte le Asset Class negli sviluppi italiani di MIND – Milano Innovation District e Milano Santa Giulia.
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Paneburro è la newsletter mensile di Adolfo Suarez che raccoglie pensieri, riflessioni e suggestioni sul mondo del Retail. Storie e visioni del contemporaneo condite con il poco che abbiamo, che poi è l’essenziale. Un po’ alla bread&butter, come direbbero gli Inglesi, ma sempre con il nostro tocco creativo.
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