11
July
2023
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Alessandro Adamo
Tempo fa abbiamo parlato dell’evoluzione di alcune funzioni del mondo ufficio, in particolare dei ristoranti aziendali, quelli che una volta chiamavamo “mense”. Spazi poco usati che hanno via via assorbito diversi ruoli diventando sempre più luoghi in cui fare anche altro, ibridi assoluti aperti alla sperimentazione e alla comunicazione sociale. Oggi non parliamo di ristoranti – chi volesse leggere per intero quelle riflessioni può farlo qui – ma di Mixed Use e Workplace in generale. Tuttavia quegli spazi hanno gettato un seme: quello della permeabilità del lavoro ad altre funzioni e modi d’uso dello spazio, e della sua apertura alla promiscuità funzionale tipica della città, con tutte le possibili implicazioni anche in termini di attrazione e di creazione di valore. Ne abbiamo parlato in una conversazione con Alessandro Adamo, direttore DEGW.
Buona lettura!
Adolfo
Qual è la tua idea di Mixed Use nel mondo del Workplace?
Generalmente l’idea di Mixed Use mi porta a pensare, nell’immediato, alla mescolanza con il mondo delle attività commerciali. Ma se devo parlare dell’area di mia maggior conoscenza, il mondo degli uffici, da diverso tempo stiamo assistendo a un cambiamento profondo nell’uso degli spazi, sempre più molteplice, quindi “misto”. Ciò riguarda anche un tema economico: lo spazio ha un costo sempre più importante e va utilizzato bene, quindi dobbiamo fare buon uso di ciò che abbiamo.
Per esempio?
Siamo giustamente partiti dal ristorante aziendale: perché averne uno da 300 posti e utilizzarlo solo due ore al giorno? E infatti non è più così, il suo uso è più esteso e differenziato, e potenzialmente è un luogo d’esperienze. Ma il ragionamento si può estendere a qualsiasi spazio collettivo: perché un auditorium solo per eventi sporadici, o le aree Training solo per la formazione, quando si possono sfruttare tutta la giornata secondo un modello diverso? Poi c’è il rapporto con le aree esterne, e con il verde, che è altrettanto importante: terrazze che diventano prolungamenti delle aree ufficio, serre bioclimatiche che diventano punti di riunione, di incontro. Si tratta di trasformare spazi pensati per una funzione sola in altri luoghi possibili: per generare incontri, relazioni, usi anche inaspettati. Di fatto, se in un luogo posso avere collisioni casuali tra le persone, allora ho Mixed Use.
Se il Mixed Use implica la generazione potenziale di scambi imprevedibili, siamo nella logica della città. Finora abbiamo parlato di mescolanza organizzativa interna come elemento abilitante di tali scambi, ma possono questi spazi aprirsi anche verso l'esterno? E come?
Spesso le aziende vedono questi spazi come una risorsa propria, un luogo in cui le persone di una stessa organizzazione – che altrimenti farebbero fatica a incontrarsi perché appartenenti a unità diverse o perché lavorano su piani diversi di uno stesso edificio o anche solo in diversi team – possano conoscersi e interagire. Allora quegli spazi diventano la “nostra Lounge”. Ma non escluderei che possano aprirsi al contesto esterno, in una sorta di osmosi. Potrebbero anzi essere risorse che un’organizzazione condivide con la città, la quale a sua volta offre i suoi servizi all’azienda in uno scambio reciproco e complementare. È una dinamica che, se ben gestita, potrebbe anche consolidare il radicamento, il senso di appartenenza e un maggior riconoscimento pubblico di un’organizzazione nel contesto urbano. Inoltre questa osmosi può avere effetti di estensione temporale sul ciclo di vita di un edificio e del suo contesto, permettendo che non si “spenga” dopo l’orario di lavoro. Certo dipende dalla localizzazione e dai servizi che si hanno intorno. C’è un tema di densità.
Pensando alla densità della città di 15 minuti, qual è il mix ideale di funzioni con cui l’ufficio può contaminarsi? In altre parole, quanta città posso inserire nel workplace per estendere il suo ciclo vitale…
Oggi l'ufficio è già una realtà piuttosto diversificata, perché se prima le necessità funzionali delle specifiche aree di business erano la priorità, ora è un ecosistema interattivo di spazi che si configurano in relazione alle attività che vi si devono svolgere. L’offerta di servizi possibili da inserire all’interno dell’ufficio è normalmente legata a determinate esigenze: potrei dire servizi di stireria, di delivery, di conservazione del cibo, ambulatori medici e veterinari, biblioteche e anche retail, e poi Play zone per i bambini oppure asili veri e propri, di cui si è parlato tanto ma alla fine s’è fatto poco… È un elenco abbastanza classico, ma la ricchezza del menù di spazi che compone l’ecosistema ufficio attuale – che è già Mixed Use in sé – potrebbe assorbire ulteriore eterogeneità.
… e quanto workplace posso inserire nella città?
È la prospettiva inversa: quella dell'ufficio diffuso, altro tema su cui stiamo lavorando. Abbiamo vissuto in passato momenti di consolidamento, con organizzazioni che accentrano cinque sedi in una. Ora pensiamo anche a possibili forme satellitari, allora è l’ufficio che va alla città e si diffonde sul territorio. È una forma di avvicinamento ad altre funzioni dell’abitare, dove primi, secondi e terzi spazi compongono un sistema più capillare. E poi è anche un modo per dare fisicità al luogo di lavoro come risposta alla remotizzazione dei processi di lavoro, e di progressiva smaterializzazione dell’esperienza condivisa.
Alessandro Adamo
Una vita dedicata a dare forma ai nuovi modi di vivere l’ufficio. Architetto e massimo esperto di consulenza e progettazione integrata di ambienti per il lavoro contemporaneo.
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